Insegnamento cellule nr. 16 Dicembre 2016

Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero…” (1Cor 9,19)

Carissimi/e,

questa sera commenteremo i capitoli 9 e 10. Paolo ritorna sul problema della carne sacrificata agli idoli e porta nuove argomentazioni per giustificare ciò che aveva affermato, cioè che la carne si può mangiare perché gli idoli non esistono, ma se esiste un problema di scandalo cioè se si dà l’idea che anche noi cristiani crediamo agli idoli allora non è assolutamente bene mangiarla. Questo principio dove si finalizza tutto al bene spirituale dei fratelli e delle sorelle è davvero un principio ecclesiale di grande importanza. Vale la pena insistere su di esso perché quando non lo  si osserva  allora nascono  malintesi, giudizi cattivi, divisioni  e anche si può indurre le persone più fragili a comportamenti sbagliati od addirittura ad abbandonare la fede o la pratica religiosa. L’amore ai fratelli e al Vangelo non può permettere una cosa del genere. Quando manca l’amore  si può dire che la Chiesa è tutta da rifare,  anche se pare  grande e forte. All’attenzione verso le persone più fragili ci richiama l’insegnamento del Signore quando di fronte agli Apostoli che bisticciavano tra di loro per i primi posti,  prese un bambino e disse: “chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel regno dei cieli.” (Mt 18,4).  Aggiunse poi  che “chi scandalizza uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18,6).  Anche la  nostra esperienza di parrocchia ci dice che   quando siamo attenti ai piccoli e  sappiamo accogliere chi è in  difficoltà, siamo più uniti tra noi e la vita comunitaria è gioiosa.

Leggiamo  allora un brano del capitolo 9, v. 18-24

     

 

Non sono forse un apostolo?   … ( 9 ,1)

Paolo porta come esempio la sua persona, lui è apostolo e vive totalmente al servizio del Vangelo. Avrebbe il diritto, come fanno gli altri apostoli, di essere mantenuto  dalle comunità cristiane a cui annuncia il Vangelo, avrebbe il diritto perché così è scritto nella Sara Scrittura “nella legge di Mosè infatti sta scritto: non metterai  la museruola al bue che trebbia…” (v. 8).   E anche Gesù “ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivono del Vangelo” (v.14). Paolo dopo aver rivendicato questo diritto, quello cioè di essere mantenuto dalla comunità, afferma che sia lui e sia  Barnaba “non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al Vangelo di Cristo” (v. 12). Questa esperienza di Paolo di sostenersi con il lavoro delle sue mani per annunciare gratuitamente il Vangelo e non essere di peso alle comunità,  l’ha vissuta diverse  altre volte nella vita apostolica, come altre volte invece è stato sostenuto dalle comunità, non quelle a cui annunciava il Vangelo ma altre che aveva evangelizzato e con le quali aveva anche un profondo legame di amicizia, come quella dei Filippesi.

Su questa esperienza di Paolo si è fondata l’esperienza dei preti operai che negli anni 60/70 ha creato molta discussione nel seno della Chiesa. La volontà di farsi servo di tutti “per il Vangelo” (giudeo per i giudei, sotto la legge per quelli che sono sotto la legge, debole con i deboli, tutto per tutti) è davvero lo spirito giusto dell’evangelizzatore e del pastore. La tensione che ha spinto alcuni preti a entrare nelle fabbriche era animata proprio da questo spirito evangelico, cioè entrare in un mondo fondamentalmente ostile  alla Chiesa per comunicare il  Vangelo in una modalità che non fosse quella classica ecclesiale da molti rifiutata. E’ la stessa tensione che ha spinto molti  missionari a fare propri  usi e costumi ed anche la cultura dei popoli o degli ambienti che vogliono evangelizzare. Questo per seminare il messaggio di Gesù evitando che sembrasse  una espressione della cultura occidentale o del mondo ecclesiale. L’ impegno apostolico di Paolo ha fatto si che il cristianesimo si liberasse dai vincoli della pratica della religione  giudaica e si esprimesse attraverso la cultura romano-ellenistica del mondo pagano. Ovviamente quest’impegno trova sempre molti ostacoli nell’ambiente tradizionale, ostacoli che ha trovato anche San Paolo nell’ambiente giudaico cristiano, tanto che da molte comunità non era considerato come  apostolo.

 

Non voglio infatti che ignoriate… “ (v. 10,1)

Contro la tentazione   di unire la fede in Gesù al culto degli idoli,  presente nella comunità di Corinto,  Paolo porta l’esempio del popolo d’Israele, esempio negativo   segnato dall’idolatria durante il periodo del deserto. Non basta far parte del popolo d’Israele, avere partecipato al grande avvenimento dall’esodo dall’Egitto per essere salvi “Tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale… ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio ” (v.3-4). La tentazione di rendere compatibile l’adesione al Vangelo con ciò che è contrario,  non riguarda solo i Corinti e il  mondo pagano che credeva agli idoli, ma è tentazione costante dei credenti, quella cioè di dirsi  cristiani ma venerare ed ubbidire ad altri principi, ad altri dei (desiderio di arricchire, di potere, di agiatezza, ecc. …).

 

Il calice della benedizione che noi beviamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo …” (v.16)

Dopo l’esempio positivo e negativo è offerta la soluzione alla questione  degli idolotiti (carne sacrificate agli dei). Innanzi tutto Paolo richiama la comunione con il corpo ed il calice del Signore che rende incompatibile la partecipazione ad altre forme di condivisione e spinge il cristiano  orientarsi nella valutazione di ogni situazione compresa quella alimentare: il fare tutto per la gloria di Dio, per il bene del Vangelo,  per cui da una parte si è pienamente liberi e dall’altra si evita di scandalizzare il fratello, il giudeo, il greco, la chiesa di Dio. L’esempio di  Paolo  di  “farsi tutto per  tutti ” (v. 9,22) diventa richiesta di imitazione per i Corinti affinché imitando lui possono imitare Cristo in un altruismo totale per i fratelli.

Vediamo qui come l’amore fino in fondo spinge da una parte a dare tutto e dall’altra essere davvero attenti e rispettosi verso il fratello, cercando le forme migliori e più efficaci perché possa aprirsi al Vangelo e per vivere  in esso. L’amore di Cristo costruisce comunità solide e nello stesso tempo delicate e rispettose che sanno mettere al centro i più piccoli ed i più deboli, che sanno essere accoglienza amorosa verso tutti.

 

Alcune domande:

 

  • Lo spirito apostolico di San Paolo, quello di annunciare il Vangelo a tutti riguarda solo i vescovi, i preti, i missionari, o riguarda tutti?
  • L’impegno di evangelizzare arricchisce o impoverisce la vita del cristiano? E quali sono le modalità per viverlo da “laici” ?  Abbiamo esempi positivi a cui fare riferimento…
  • Essere attenti alle persone più fragili, essere attenti a non scandalizzare, cosa vuol dire per la nostra Comunità? Abbiamo esempi in positivo?

 

Don Alberto

Cossato, 29 Novembre   2016

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