Insegnamento Cellule n° 1 Ottobre1919

“Abbiamo fatto quanto dovevamo  fare…”
Lc. 17,10

 

 

Carissimi/e,

                 siamo nella vicinanza della festa della nostra comunità! Tra le realtà che la caratterizzano, ci  sono le cellule, non solo perché non sono presenti in altre parrocchie della nostra Diocesi,  ma soprattutto perché contengono nei loro tratti essenziali, aspetti qualificanti di una vera comunità cristiana: il trovarsi insieme attorno alla Parola di Dio, rapporti sinceri di amicizia e di solidarietà, apertura verso tutti, incominciando proprio dai più vicini. Cosa bella sarebbe  portare la vostra esperienza ogni tanto nelle Eucarestie domenicali e non solo su yobel, (come ha fatto Simonetta recentemente, e vi prego di leggere il bell’ articolo).  Incominciamo dalla festa parrocchiale a cui evidentemente invito tutti a partecipare e scegliamo il Vangelo di quella domenica, la XXVII del tempo ordinario in modo da permettere   di comunicare una vostra riflessione durante l’Eucarestia.  Il Vangelo è tratto da Luca,  capitolo 17 v. 5-10.  Leggiamolo attentamente                         

                           

                                          “Accresci in noi la fede!   … (V. 6)   

E’ una delle tante e brevissime preghiere che troviamo nei Vangeli e che dobbiamo imparare a fare nostra. Gesù risponde con un paragone che ci può lasciare stupiti. E’ importante allora leggere il contesto: immediatamente  prima Gesù invita ad un perdono illimitato e giornaliero nei confronti del fratello che ti offende.  Fede qui non significa convinzione ideologica che Dio senz’altro esaudirà le nostre preghiere, ma quell’apertura del cuore che ci rende disponibili a entrare nei progetti di Dio. “Sradicati e vai a piantarti nel mare(v. 7)  Gesù si esprime con un paradosso.

Nei movimenti di terra è possibile che un albero sia sradicato e cada in mare, invece  quando il cuore è chiuso, è impossibile il perdono, anzi  a volte si tiene rancore anche per tutta una vita. Ecco allora il significato delle parole di Gesù.  Non la promessa di fare cose strabilianti nella convinzione che Dio  ci debba assolutamente esaudire ma apertura del cuore umile e confidente, che ci apre alla ricerca disinteressata della volontà di Dio. Questa apertura del cuore ha due aspetti:  la nostra disponibilità  e l’intervento di Dio;  allora ha davvero senso la preghiera “Accresci in noi la fede” . Preghiera autentica è quella di chiedere al  Signore che apra il nostro cuore alla fiducia in lui. Certo nulla è impossibile a Dio, ma Dio agisce attraverso il cuore dell’uomo e quando questo si apre, allora possono  avvenire cose impensabili.

 

                                   “Quanto un granello di senapa …” (v. 6 )

Non concerne tanto la quantità della fede ma la qualità. Parlare della qualità della fede, significa riferirsi alla disponibilità del credente di fidarsi totalmente di Dio, senza alcuna riserva, permettendogli così di manifestare la sua potenza e di operare quei  prodigi che gli uomini non sarebbero mai in grado di attuare, come per esempio perdonare senza stancarsi.

Non è importante che questa fede sia  teologicamente approfondita, è sufficiente una fede semplice, piccola come un granello di senapa, spesso non considerata o addirittura presa in giro da quelli che la sanno lunga. Come la  fede di molte donne e uomini del popolo che però ha una grande  forza.  

 

                                     Chi di voi, se ha un servo …” (v. 7 )

Deve essere compresa bene questa piccola parabola. Non dice che Dio è come quel padrone che si fa servire, ma esprime un ragionamento  “esemplificativo”. Gesù conosce bene quali sono i rapporti che regolano le relazioni tra gli uomini.  Il padrone pretende dal servo, (che  è un uomo esattamente uguale a lui), di essere servito,  nonostante che lui,  magari ha passato la mattinata a guardare il panorama ed il servo invece ha lavorato per lui tutto il tempo ed è stanco. Il padrone vuole  essere servito a tavola e  poi il servo si aggiusterà. Questo è accettato pacificamente e  ritenuto giusto e normale.  Ebbene, come mai invece nei confronti di Dio, che è l’unico vero padrone, da cui dipende tutto il nostro essere e tutto è suo dono, quando ci mettiamo al suo servizio pretendiamo chi sa quale riconoscenza e quale ricompensa?  

Dio non è assolutamente simile a quel padrone, anzi nel Vangelo viene detto esattamente il contrario “Si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli ” (Luca 12, 37)

Gesù, qui parla, non solo ai religiosi Farisei ma ai suoi discepoli e a tutti quelli che lavoreranno per la sua Chiesa, ci invita  a riflettere sulle false pretese dei “buoni ” che si sentono creditori nei confronti di Dio e non si rendono conto che tutto è dono, anche il nostro agire bene. Servire il Signore è un dono che lui ci fa,  di cui essere riconoscenti: servire Dio è regnare.

 

                          “Quando avrete fatto tutto quello  …” (v. 10)

D’ innanzi a Dio, il discepolo, non può fare altro che riconoscere la propria inutilità, anche quando ha compiuto fedelmente la volontà di Dio. L’aggettivo inutile però non intende sminuire l’importanza e la dignità del credente , potrebbe essere tradotto con l’espressione “siamo semplicemente dei servi ” indica la necessità di non montarsi la testa, soprattutto quando si raccolgono consensi e gratificazioni. Certo, Dio agisce attraverso di noi, ma la sua opera di salvezza è portata avanti dalla forza di Dio e quando trova persone non disponibili ne sceglie altre. Nessuno può dirsi indispensabile. E’ Dio che conduce la storia e ci porta alla salvezza. Noi siamo collaboratori di quest’opera ma è sempre importante riconoscere la forza di Dio e la debolezza della nostra azione. Certo, Dio premia oltre misura e non si intende affermare che le azioni buone degli uomini e la fedeltà alla volontà di Dio siano prive di valore. Non possiamo però  accampare diritti davanti a lui in virtù delle opere buone. Nella nostra relazione con Dio, tutto è grazia e tutto è dono.  Esprime bene questo atteggiamento di fede, la preghiera di C. de Foucauld

 

 

Padre mio, io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto.
La tua volontà si compia in me,
in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.

Affido l’anima mia alle tue mani
Te la dono mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è un bisogno del mio amore
di donarmi
di pormi nelle tue mani senza riserve
con infinita fiducia
perché Tu sei mio Padre.

 

                                   

Alcune domande:

  • Che cosa dice alla tua vita questo brano del Vangelo?
  • Questo brano del Vangelo, cosa può suggerire alla nostra comunità della Speranza?
  • Siamo alla festa della comunità, quali sono gli aspetti più positivi e quali sono invece gli aspetti da migliorare e da correggere che vedi alla Speranza

Buona preghiera!        

  1.                                                                                                                Alberto

Cossato, 1 Ottobre  2019