Insegnamento Cellule n°4 Febbraio 2019

 Non vivo più io, ma Cristo vive in me …”  (Gl. 2,20)

 

Carissimi/e,

continuiamo la lettura della lettera ai Galati che interromperemo la prossima volta per commentare un Salmo e in seguito un Vangelo. Siamo al capitolo secondo dove Paolo parla di se stesso e della sua conversione. Egli dimostra  con l’esempio della  sua vita il passaggio  dal giudaismo pienamente e tenacemente vissuto  alla libertà dell’ essere in Cristo, passaggio che è avvenuto per grazia di Cristo stesso. Paolo ha seguito il percorso contrario di diversi Galati, cioè  di coloro che dopo avere aderito senza compromessi a Cristo, stanno passando alla legge di Mosè, cioè a un cristianesimo costretto dagli usi e costumi degli Ebrei, tanto da fare pensare che la salvezza provenga dalla legge e non da Gesù. In  Paolo non c’è mai stato  ritorno al passato,  è   stato coerente fino al presente. Egli  è esemplare nel resistere di fronte allo stravolgimento operato  nelle Chiese della Galazia da cristiani Ebrei della corrente giudaica. Paolo è costretto  a  raccontare la sua chiara  testimonianza.

Prendiamo allora il secondo  capitolo e leggiamolo.

Quindici anni dopo  … (V. 2,1)

I quindici anni probabilmente sono contati dall’incontro con Gesù sulla strada di Damasco e qui viene descritto  in modo diverso ciò che negli Atti degli Apostoli al capitolo quindici viene raccontato, cioè  il Primo Concilio della Chiesa avvenuto a Gerusalemme,  quando si sono riuniti gli Apostoli e i primi responsabili della Chiesa, per stabilire se era necessario che i pagani venuti alla fede in Gesù dovessero farsi circoncidere e quindi diventare Ebrei.

Notiamo alcune cose. Il tempo è molto lungo, se si considera la brevità della vita di San Paolo (fu martirizzato prima dei 60 anni e la sua  conversione avvenne dopo i 25 anni circa).   Dopo l’evento di Damasco, Paolo visse un lungo periodo, probabilmente a Tarso, sua città natale, nel silenzio e quasi dimenticato dalle comunità cristiane. Fu Barnaba che andò a ripescarlo “Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa” (Atti 11,25-26). Per molto tempo Paolo è stato  nella solitudine, nella preghiera,  nella   meditazione delle scritture,  preparandosi così alla sua missione.

Vediamo poi come la Chiesa  di fronte a un problema nuovo, cioè la conversione dei pagani al cristianesimo e le tensioni che questo suscitava nell’ambiente giudaico della prima comunità,   si riunisce in preghiera invocando lo Spirito Santo e collegialmente decide indicando la strada per tutti.  Questo metodo è stato osservato fino all’ultimo Concilio Vaticano Secondo. Ma è anche il metodo a cui  ogni comunità deve rifarsi  per vedere cosa il Signore chiede :   Pregare, invocare lo Spirito Santo e cercare insieme illuminati dalla Parola di Dio la strada che bisogna percorrere.  La comunità della Speranza cerca di fare questo proprio attraverso i consigli pastorali. Essi  hanno lo scopo di unificare le varie attività della parrocchia, affrontare alcuni problemi,  stabilire il cammino e  la linea sulla quale muoversi. Ciò che ci deve guidare è la ricerca della fedeltà al Vangelo ed anche dell’unanimità, cioè per quanto è possibile della condivisione di tutti, anche se questa porta tempi più lunghi. Le decisioni per essere davvero ecclesiali non devono solo avere il consenso della maggiorana, (sotto quest’ aspetto la chiesa non è democrazia)  ma la consonanza con il Vangelo e l’unanimità nello Spirito.

Ma quando Cefa venne ad Antiochia…” (v. 2,11 )

Paolo riferisce il cosi detto “incidente”  ad Antiochia verificatosi in occasione della visita di Pietro: dapprima questi non si fa problemi a mangiare insieme ai cristiani di origine pagana (contravvenendo alle regole di purità giudaiche) e poi quando arrivano da Gerusalemme alcuni cristiani Ebrei osservanti,  Pietro cambia comportamento e comincia ad evitare i pagani cristiani rimettendo così in discussione ciò che era stato stabilito dal Concilio di Gerusalemme. Di fronte a questi tentennamenti, che ingeneravano confusione, Paolo in nome della verità del Vangelo rimprovera Pietro davanti a tutti per la sua incoerenza.  Rivelando questo episodio ai credenti della Galazia è come se Paolo li mettesse in guardia da quelle persone  che avevano tratto in inganno addirittura Pietro. Il comportamento di Paolo ci rivela un aspetto particolare della Chiesa di Gesù. Da una parte è molto importante l’autorità,  è questa che deve garantire l’unità e la fedeltà al Vangelo, ma nello stesso tempo l‘unica autorità è  il Vangelo. Anche un bambino che dice con semplicità le cose del Vangelo,  ha più  ragione di un Vescovo che nel suo modo di fare contraddice l’insegnamento di Gesù.   Naturalmente la verità deve essere proposta con umiltà e carità rispettando fino in fondo l’autorità.

La verità del Vangelo  … ” (v.5 e 14)

In questo contesto l’espressione di Paolo significa il cuore del messaggio cristiano: l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma per mezzo della fede in Gesù Cristo. Paolo grazie alla sua esperienza personale dell’incontro con la misericordia di Dio sulla via di Damasco, ha capito che Dio va incontro a tutti gli uomini senza fare distinzioni. Il Vangelo è grazia, è perdono, è salvezza per tutti:  giudei e  pagani. Occorre quindi accogliere i pagani senza costringerli a diventare Ebrei con la circoncisione e le altre pratiche della legge mosaica.  Questa situazione in termini diversi si è presentata più volte nella Chiesa, anzi  è un problema di costante attualità. Cioè la tentazione di costringere tutti, anche le nuove culture, anche le nuove generazioni, ad assumere modalità della tradizione cristiana per vivere la fede di Gesù Cristo. E’  lo scontro che avviene tra tradizionalisti e nuovi modi di pensare. Da una parte si pensa che le formule e la modalità con la quale la fede è stata vissuta fino ad ora siano essenziali per trasmettere la verità cristiana ed altri che dicono che questa verità può essere vissuta con modalità  differenti e nuove (ad esempio pensiamo alla riforma liturgica del Concilio che ha introdotto la lingua italiana nella messa, ecc…).   Sono posizioni  che ambedue possono contenere parte di verità e che quindi  richiedono costantemente un’opera di discernimento.

Non vivo più io, ma Cristo vive in me …”  (Gl 2,20)

E’ una bellissima espressione di S. Paolo che esprime la sua totale adesione a Gesù, la sua profonda conversione, il suo scopo di vita. Nasce dall’esperienza di grazia ricevuta direttamente da Gesù che mi ha amato e “che ha consegnato se stesso per me “ (V. 20). E’ il punto di arrivo di ogni cristiano e della maturità della vera fede, l’esperienza di essere amati da Dio , di essere amati fino al dono della vita sulla croce fattaci da Gesù. Questa esperienza rende possibile il dono totale della nostra vita. Come dice Dante “Amor che nulla ha amato amar perdona ” (Canto V) nella nostra relazione con Dio valgono le stesse leggi dell’amore umano. Se di fronte ad un amore pieno e totale non rispondiamo con amore pieno e totale perdiamo molto della  nostra vita. Santa Teresina del Bambino Gesù dice che possiamo competere con Dio solo in una dimensione, quella della totalità. Dio ci ha amato con tutto il cuore e noi possiamo ricambiare amandolo con tutto il cuore.

Alcune domande:

 

  • Il discernimento della volontà di Dio nella mia vita ha anche un aspetto collegiale ed ecclesiale (Paolo si è confrontato con gli Apostoli a Gerusalemme). Come e quando vivo quest’aspetto? (riunioni in cellula, partecipazione al consiglio pastorale, ascolto della parola dei Vescovi).
  • L’umiltà e la forza di dire il Vangelo anche in un contesto contrario (Paolo è stato franco e deciso di fronte ai falsi fratelli), fa parte del mio stile di vivere il cristianesimo?
  • La verità del Vangelo, (anche per me come per Paolo) è l’esperienza dell’amore di Dio e quale è la mia risposta?

 

Buona preghiera!        

 

  1. Alberto

 

Cossato, 19 Febbraio   2019