Insegnamento Cellule n° 5 Marzo 2018

       ”Crea in me, o Dio, un cuore puro …”   (Salmo 51(50)  V.12)

 

Carissimi/e,

siamo nell’imminenza della Settimana Santa. Vi prego di programmare il tempo in modo da poter partecipare alle celebrazioni della liturgia e di poter sostare, in silenzio, da soli di fronte all’amore di Dio che si è manifestato  nella croce di Cristo. Riprendiamo ora la riflessione sul salmo 50. L’adesione entusiastica della comunità cristiana a questo celebre salmo può essere riassunta dalle parole di Charles de  Foucauld “Grazie mio Dio, per averci dato questa divina preghiera del Miserere che è la nostra preghiera quotidiana… essa racchiude il compendio di ogni nostra preghiera: Adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. Essa parte dalla considerazione di noi stessi e della vista dei nostri peccati e sale fino alla contemplazione di Dio, passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini”.

Preghiamo leggendo insieme  il salmo  lentamente.

                                       “Crea in me o Dio un cuore puro… (v. 7)

Accanto all’esperienza di peccato (e della propria impotenza nei suoi confronti), il salmista vive anche una seconda esperienza, quella della misericordia di Dio, alla quale può affidarsi. Il peccato è talmente radicato nel cuore dell’uomo  che solo Dio può strapparlo. Occorre un intervento divino capace di operare una profonda trasformazione, tanto profonda da essere paragonato ad una nuova creazione. Il salmista attende fiducioso questo intervento ricreatore di Dio che lui solo è in grado di rinnovare l’uomo. Il verbo usato è “bara”, creare,  un verbo che la Bibbia adopera con parsimonia  e sempre per indicare una azione esclusiva, straordinaria e salvifica di Dio: la creazione del cielo e della terra, la liberazione del popolo dall’Egitto, la creazione dei cieli nuovi e della terra nuova, tutta questa potenza divina è necessaria per strappare il cuore dell’uomo dal dominio del peccato. Il perdono è liberazione e ricreazione.

                             “Nel mio intimo mi fai conoscere la sapienza…” (v. 8)

Sia l’antico che e il nuovo testamento sono unanimi nell’affermare che il senso del peccato si fa chiaro solo all’interno di una autentica esperienza di fede. Per capire il peccato occorre una luce che vede dall’alto. Adamo prova vergogna della sua colpa all’avvicinarsi dei passi di Dio (Genesi 3,10). Isaia diviene consapevole della propria impurità quando vede la gloria del Signore (Isaia cap. 6)  ed è quando intuisce la grandezza di Gesù che Pietro si proclama peccatore (Lc. 5,8) come pure il pubblicano Zaccheo (Lc. 1,8)  …  E’ lecito quindi concludere che quando l’umanità perde il senso di Dio perde parallelamente il senso del peccato. Confrontandosi con se stesso e con i propri ideali, l’uomo può certo scoprire le proprie  incoerenze ma non il senso cristiano del peccato in tutta la sua estensione e profondità. E’ esperienza inoltre di tutti, che spesso  non solo non si percepisce il male di certi comportamenti ma addirittura si arriva a vantarsi come dice S. Paolo “di ciò di cui ci si dovrebbe vergognare”. Più si perde il senso di Dio e più si perde il senso del bene, ci si misura su valori che non sono tali (ricchezza, potere, prestigio, ecc…).

                                       “Contro te solo ho peccato… ” (v. 6)

Davide (o almeno il salmista che si riferisce a Davide) ha commesso una ingiustizia contro un uomo, tuttavia esclama “contro di te ho peccato”. Il peccato ha sempre una dimensione verticale e una dimensione orizzontale. Ogni peccato contro l’uomo è peccato contro Dio. Certo la Bibbia sa che il peccatore non può colpire Dio. Tuttavia è ugualmente vero che il peccato lo raggiunge. Dio è divenuto vulnerabile in forza del suo amore per l’uomo, tutto ciò che colpisce l’uomo lo riguarda, come ciò che riguarda un bambino piccolo, riguarda il papà e la mamma. Il peccato contraddice sempre il progetto di bene  e di bello che Dio ha nei confronti dell’uomo,  di tutti gli uomini e di ogni singolo e Dio soffre nel vedere così contraddetto questo suo amore per l’uomo. Così anche ogni peccato contro Dio (es. la bestemmia, l’idolatria, ecc…) è peccato contro l’uomo, perché contraddice la verità dell’amore di Dio per l’uomo che è  la ragione ultima della solidarietà e dell’amore.

                                          “Pietà,… misericordia,… bontà…” (v. 3)

Il tema del  “Miserere” è il peccato dell’uomo però nel quadro della misericordia di Dio. Pietà, misericordia e bontà esprimono l’atteggiamento di Dio.

Pietà  “hanan”  indica il gesto di chi abbassa lo sguardo verso un suddito, la sua nota essenziale è la gratuità, è quella signorile discrezione che non fa pesare il gesto che compie e non fa abbassare lo sguardo di chi riceve.

La seconda parola “rahamin”,  misericordia, evoca il grembo materno e allude a quel sentimento ricco di emotività di ostinazione, di tenerezza che è appunto l’amore materno. Si potrebbe tradurre con “appassionata tenerezza”.

Il terzo vocabolo è “hesed”  bontà, indica la condotta da tenersi fra persone strette da un legame e potremmo tradurlo con solidarietà fedele o anche meglio con solidarietà ostinata, che è proprio quella di Dio.  Egli non mi abbandona nel mio peccato, non si rassegna che io mi perda.

Il  peccato dell’uomo è ostinato, ma altrettanto ostinata è la misericordia di Dio e l’ultima parola è la Sua. L’uomo biblico sperimenta due cose insieme, il coraggio della verità del suo peccato e la potenza del perdono di Dio. Chi non vede la misericordia di Dio rischia di cadere nell’angoscia paralizzante, chi non vede la serietà del peccato vive nella menzogna.  Le parole di Gesù ai peccatori dicono sempre l’una e l’altra cosa: “Va e non peccare più” (Gv. 8,1). “Non peccare più ”  indica la serietà della colpa “e va” dice il perdono.

                                   “Insegnerò ai ribelli le tue vie …” (v. 15)

L’esperienza del perdono ci rende annunciatori della misericordia di Dio. Se davvero si fa l’esperienza del perdono di un cuore risanato non si può non diventare testimoni del Dio misericordioso e grande nell’ amore. Non si può a nostra volta che diventare ministri del perdono. Perdonare a chi ci ha offeso ed annunciare il perdono di Dio.

L’esperienza del perdono ci rende in grado di offrire a Dio la preghiera vera  e il sacrificio a Lui gradito perché ci mette nella verità con il nostro rapporto con Dio. Abbiamo bisogno del suo perdono e di un cuore nuovo per vivere da suoi figli e dialogare con Lui.

Leggiamo il salmo 50 tradotto da Carrarini come preghiera finale

Alcune domande:

  • Qual è la nostra esperienza del perdono di Dio?
  • Usiamo il sacramento della confessione per incontrare Gesù che ci perdona?
  • Quali sono le difficoltà che abbiamo nell’accostarci a questo sacramento?
  • Sappiamo a nostra volta perdonare? E in che modo possiamo diventare annunciatori del perdono di Dio?

Viviamo con intensità la Quaresima e la Settimana Santa!

                        Buona preghiera

                                                                                                 Don Alberto

Cossato, 20  marzo  2018